Il nostro benessere è legato a doppio filo a quello del nostro pianeta, con reciproca influenza.
Scrivo questo articolo all’indomani della Giornata Mondiale del Suolo, istituita nel 2013 per iniziativa della FAO, in data 5 dicembre. Lo scopo della Giornata è quello di puntare l’attenzione sul ruolo vitale del terreno nel mantenimento della vita sulla Terra.
Una ricorrenza che quest’anno è suonata tragicamente ironica, dal momento che, accanto ai pochi e seminascosti link collegati a questo evento, il web e i giornali sono (giustamente) occupati da video e articoli riguardanti Ischia travolta da acqua e fango, l’ennesima sciagura annunciata. Lo stato di dissesto idrogeologico in Italia viene aggravato di anno in anno da successive e progressive perdite di terreno: nel 2021 in media se ne sono stati persi due metri quadrati al secondo. Migliaia di chilometri quadrati sacrificati alla costruzione selvaggia o male regolamentata, che avrebbero potuto drenare milioni di metri cubi di acqua piovana, compito impossibile per le superfici impermeabilizzate da asfalto e cemento.
Ma che c’azzecca, direte voi, parlare di suolo e pioggia e frane in una rubrica dedicata alla dieta? C’azzecca eccome, vi rispondo io, dal momento che la tutela degli ecosistemi (e quindi anche la regolamentazione delle costruzioni) è fondamentale per la garanzia di un rifornimento adeguato e sostenibile di risorse alimentari per tutte le popolazioni, noi compresi. E c’azzecca pure perché il nostro comportamento alimentare, a sua volta, influenza il mercato, che influenza il modo in cui il cibo viene prodotto, raccolto e trasportato, ma non solo: ad esso è legato anche buona parte di quello che buttiamo (che è tantissimo, quasi un terzo di tutto quello che viene prodotto). Ma dello spreco parleremo un’altra volta, che se no davvero finiamo fuori tema e non ho ancora iniziato a spiegarvi perché la biodiversità è così importante, sia per la salute del pianeta, che per quella dell’umile dimora terrena delle nostre anime.
Torniamo quindi al suolo, da proteggere perché è il luogo da cui proviene il 95% del cibo che produciamo, il quale deriva o dipende da ciò che viene coltivato. Negli ultimi decenni, la coltivazione intensiva, impiegata per ottenere cereali per l’alimentazione umana e come foraggio per gli animali da allevamento, ha sacrificato milioni di ettari che erano precedentemente occupati da foreste, riducendo così la capacità del pianeta di riassorbire CO2. E se questo vi sembra un effetto “lontano” e con poca attinenza alla nostra vita di tutti i giorni, nonostante gli effetti progressivi su qualità dell’aria e clima, vi sembrerà forse più “vicino” il fatto che ha anche impoverito il terreno, riducendo la sua capacità di fornire microelementi essenziali non solo per le piante, che crescono meno e con più difficoltà, ma anche per noi! A meno di non usare o abusare di fertilizzanti che però vanno ad appesantire la situazione già gravosa in termini di inquinamento. Seppur noi non soffriamo di una carenza in termini di quantità, che purtroppo affligge le popolazioni dei Paesi in via di sviluppo, certamente la carenza di minerali e vitamine ci riguarda da molto vicino.
A questo punto mi chiederete cosa c’entrate voi con la cultura intensiva, mica l’avete chiesta voi. Ci mancherebbe, lo so benissimo. Ma passiamo dal suolo a quello che mettiamo nel piatto, ogni giorno. Quante volte, in una settimana, mangiate pasta o pane? Spesso, vero? Ora chiedetevi: quanto spesso vi capita di mangiare o cucinare legumi? Mediamente, i clienti che incontro in prima visita rispondono “una volta a settimana o meno”. Con una prevalenza per il “meno”.
Questo dato corrisponde al consumo medio in Italia, il quale, seppure sia aumentato del 15% negli ultimi 10 anni (statistiche aggiornate al 2020), risultava però dimezzato, nel 2015, rispetto agli anni ’60.
Non stupisce quindi che la coltivazione di quelli che una volta venivano definiti “la carne dei poveri” rappresenti solo l’1,5% delle terre coltivate in Europa, dove invece il frumento, i cereali da foraggio e la colza la fanno da padroni.
Uno studio pubblicato nel 2021 ha confrontato l’efficienza ambientale di dieci rotazioni agricole in Calabria, che rappresenta l’Europa mediterranea, nella regione romena del Sud-Mentia, con un clima tipico dell’Europa continentale e nella Scozia orientale, rappresentativa del clima dell’Europa atlantica. In tutte queste regioni, l’introduzione di legumi nelle rotazioni di cereali e semi oleosi ha prodotto cibo ad un costo ambientale inferiore, riducendo l’uso di fertilizzanti sintetici.
I legumi, infatti, hanno la capacità di catturare e rendere biologicamente disponibile l’azoto inorganico, di cui tutti i vegetali hanno bisogno per crescere, direttamente dall’atmosfera: questo permette di diminuire l’impiego di altre fonti esterne di fertilizzanti azotati, costituiti principalmente da protossido di azoto, il quale, rilasciato anche in atmosfera sotto forma di particelle inquinanti, contribuisce all’effetto serra e al conseguente riscaldamento globale.
Dalla salute del pianeta alla salute dell’uomo: i legumi, infatti, non solo sono ricchi di micronutrienti indispensabili come ferro, potassio, magnesio e vitamine, ma rappresentano una fonte di carboidrati a minor impatto glicemico. Questo significa che il loro consumo frequente e regolare (2-3 volte a settimana) può prevenire l’insorgenza del diabete di tipo 2 e di tutte le malattie non trasmissibili legate direttamente o indirettamente alla disregolazione del metabolismo degli zuccheri. Inoltre, sono una preziosa fonte di proteine vegetali, oltre che di fibre indispensabili a garantire la salute del nostro microbiota intestinale, un piccolo universo nascosto (ma di cui sappiamo sempre di più), al cui equilibrio sono legati l’attività del nostro sistema immunitario, il nostro metabolismo energetico e persino il nostro umore.
Auguro a tutti voi un’ottima salute e il migliore degli umori per le prossime Festività, naturalmente con lenticchie…ma non solo a Capodanno!
Un festivo saluto
dalla vostra consulente nutrizionale
Dr. Tatiana Gaudimonte
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